«Camminate nel buio e capirete»

Noi e i non vedenti

Articolo di Guido Vergani apparso sul Corriere della Sera del 14/10/2002 in occasione della prima apertura di Dialogo nel Buio a Milano

IMG Guido VerganiSi va nel nero tastando il terreno, le pareti, gli ostacoli con il bianco bastone dei ciechi. Si va nelle tenebre di «Dialogo nel buio/Una mostra che non mostra», allestita a Milano (16 ottobre 2002-16 febbraio 2003) negli spazi di Palazzo Reale, su un’idea di Andreas Heinecke che l’ha realizzata due anni fa ad Amburgo dove l’installazione è permanente.
Subito va in frantumi il nostro protervo domandarci che cosa mai dovremmo imparare a vedere in quel buio, come, invece, suggerisce il sottotitolo dell’evento. Cosa non saremmo ancora capaci di vedere noi che siamo la società dell’immagine, noi che da anni e anni vediamo anche dietro l’angolo di casa, dietro la collina del paese, vediamo tutte le realtà del mondo, facendo zapping su questa, su quella, e ne costruiamo altre attraverso il cinema e la televisione, moltiplicando, centuplicando virtualmente la realtà?

Si va nel nero e immediatamente lo si capisce. Si va come ciechi, chiedendo al tatto, all’udito, all’olfatto di darti un’idea di dove sei, di che cammino seguire in un percorso senza luce, solo di rumori, di perduti fruscii della natura, di suoni animali, di acque che avverti e non vedi, di gocce che rompono il silenzio, di un profumo di basilico nell’aria, di frastuoni del traffico e di mischiate, confuse voci della città. Si va come ciechi passando il palmo della mano su quel che gli occhi non vedono per averne coscienza e conoscenza. Si va dialogando con un non vedente che, a ruoli ribaltati, ti fa da guida parlando solo quel poco che non «illumina» il buio e quel tanto da mitigare l’iniziale angoscia di essere immerso in una condizione, in uno stato che non sono i tuoi di persona che vede, che non ha mai immaginato di non vedere. Di persona che è assediata dalle immagini e ne è vorace al punto da dimenticare che il mondo, la natura, il bello e il brutto devono essere vissuti non solo guardando ma toccando, ascoltando, gustando, immagazzinando odori e profumi.

Bastano i primi cinque minuti dentro al nero tunnel di «Dialogo nel buio» e davvero s’impara a vedere quel che non si è mai voluto vedere in profondo e senza l’alibi del pietismo. Si vive il mondo di chi non ha la vista, di chi esiste solo attraverso gli altri quattro sensi, di chi ascolta, tocca, annusa il buio e sa che anche le tenebre fremono di vita. Si vive il mondo di chi è escluso dai libri e dai giornali. Pagine e pagine che ogni giorno, per qualcuno, restano bianche. Andate alle pagine 11 e 12 di questo Corriere e vedete l’effetto che fa. Il percorso della mostra obbliga a scambiarsi i ruoli ed è subitaneo, mentre si cammina a passetti timorosi nel nero, il bisogno dell’altro. In quel buio, si stabilisce un «feeling» che avrà buoni riflessi verso ogni condizione di handicap quando il visitatore tornerà alla luce, alla sua vita di tutti i giorni. Per una volta, noi senza handicap siamo «nelle mani» di un portatore d’handicap. Per una volta, il «normale» sta nei panni del «diverso», prova quel che prova il «diverso» e, in tempi concentrati per cui assai più dirompenti nel cuore, vive alcune esperienze quotidiane della sua esistenza di portatore d’handicap.

Per cinquanta minuti, un’ora - tanto dura il percorso - il «normale» diventa il «diverso», si trova dall’altra parte e, sprofondando nei problemi dei non vedenti e dialogando con loro nel loro «elemento», domani userà più generosamente l’intelligenza del cuore anche nei confronti dei sordomuti, dei paraplegici, di ogni handicappato, di ogni «altro», rompendo le barriere psicologiche e culturali che sono assai più insormontabili di quelle architettoniche. E’una buona lezione quella di questa mostra che apparentemente non mostra e che, invece, insegna, a noi fagocitati dalle immagini, anche il valore del buio per vedere davvero la realtà.

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