Esterno della mostra

Una coppia di simpatici nonni racconta la visita a Dialogo ricevuta in regalo dai nipoti. Da un articolo apparso su "L'armonia" di gennaio 2020

Era il regalo di Natale dell'anno passato: due biglietti per l'ingresso al "Dialogo nel buio", un percorso appunto al buio realizzato all'interno dell'Istituto dei Ciechi di Milano.

In un mondo dominato dalle immagini che creano il "chiasso" della mente, ci spaventava quasi confrontarci con il buio totale vivendo per un'ora una dimensione diversa e "spaesante" per noi. Al contrario questo percorso si è rivelato un'esperienza multisensoriale in cui la percezione delle cose e la comunicazione, in assenza dell'immagine visiva, ci sono apparse più profonde ed intense.

Abbiamo lasciato trascorrere tutto l'anno prima di decidere, io e mio marito. Poi, per non deludere i nostri nipoti che ci avevano fatto questo regalo, siamo riusciti, superando ogni esitazione, a prenotare all'ultimo momento la visita per il penultimo giorno prima della scadenza. Col treno abbiamo raggiunto Milano partendo con un certo anticipo, sapendo i ritardi delle Ferrovie Nord. Con il metrò siamo arrivati a Piazza San Babila e da lì, a piedi, fino in Via Vivaio 7, dove un palazzo ottocentesco accoglie i visitatori in un'ampia anticamera con lapidi e ritratti di coloro che hanno contribuito a dar vita all'Istituto dei Ciechi, tra cui auspici i sovrani d'Italia Umberto I e Margherita.

L'Istituto offre tuttora percorsi scolastici e laboratori completamente gratuiti a coloro che sono privi della vista o ipovedenti. Ci siamo diretti verso la sala d'attesa. Era mezzogiorno e noi dovevamo entrare per le ore 13, così abbiamo avuto il tempo di osservare l'ambiente e prepararci "psicologicamente" a quell'avventura. La signorina della biglietteria ci ha spiegato che al mattino vengono in visita soprattutto le classi delle scuole primarie, mentre studenti ed adulti entrano più tardi. Infatti in quel momento si notavano gruppi di scolari che erano in attesa di incominciare il percorso e altri che uscivano. Mentre aspettavamo il nostro turno, era bello e incoraggiante osservare l'entusiasmo con cui i bambini si preparavano ad entrare e la loro felicità all'uscita con esclamazioni tipo: - È veramente fantastico! C'era solo una bambina, Anna, di 9/10 anni che piangeva perché aveva paura. Una degli addetti all'accoglienza si è offerta di accompagnarla tenendola per mano, ma lei si è opposta. Una giovane coppia simpatica e gentile, che era in attesa del proprio turno, l'ha invitata a giocare a carte con loro. Dopo essersi rilassata, la bambina ha espresso il desiderio di riprovarci, ma anche la seconda volta non è riuscita a dominare la sua agitazione. Finalmente è arrivato il nostro turno.

Un giovane molto cordiale ci ha spiegato come dovevamo comportarci precisando che la nostra guida, di nome Roberto, era ipovedente e che bisognava rispondere pronunciando il proprio nome quando la guida ci interpellava durante il percorso. Così siamo entrati da quella famosa porta insieme ad altre sei persone di cui due bambine accompagnate dalla loro giovane mamma. Non c'è stato subito il buio assoluto, ma nel giro di pochi minuti ci siamo immersi nell'oscurità totale.

Già nei primi istanti ho pensato a mio zio Guido, cieco. Era il marito della sorella di mia mamma, la zia, Maria Benaglio, che faceva la maestra ad Asso nella prima metà del Novecento. La zia, dotata di spirito d'umanità, aveva imparato l'alfabeto Braille, l'alfabeto dei ciechi, e, oltre ad insegnarlo a scuola, scriveva su un giornalino destinato ai lettori ciechi. Fu così che si conobbero e si sposarono andando ad abitare a Labico (Roma), paese dello zio. Lui era anche maestro di musica e suonava l'organo in chiesa. Alcuni anni fa, sono andata a Labico e mi è capitato di incontrare persone che l'avevano conosciuto e lo ricordavano chiamandolo "il maestro". Quando zia Maria morì, lo zio mi aveva mandato una tavoletta traforata con un piccolo punteruolo e l'alfabeto Braille perché io potessi scrivergli. Cosa che mi impegnai a fare qualche volta, ma per poco tempo; infatti lo zio morì l'anno successivo.

Procedendo nel percorso si aveva la sensazione di usare in modo nuovo il tatto, l'udito, l'olfatto e il gusto. Roberto ci guidava con la sua voce: «Avanti, a destra, mettete la mano sulla spalla di chi vi sta davanti». Per aiutarci a camminare senza troppi intoppi, ci hanno anche dato un bastone col quale potevamo tastare il terreno. Via via scoprivamo gli ambienti che stavamo attraversando. Sotto i piedi sentivamo la ghiaia del vialetto di un giardino, poi il profumo di erbe aromatiche di cui dovevamo indovinare il nome, e quindi eccoci traballanti su un ponticello che ondeggiava nel vuoto. La paura era però resa controllabile dalla voce e dalla mano che Roberto ci porgeva chiamandoci per nome. Siamo saliti anche in barca e abbiamo potuto avvertire dove fossimo dal rullio, dall'aria che soffiava e dall'acqua, la cui presenza abbiamo percepito affondando verso il basso il nostro bastone. Nella foresta, dove si udivano i vari cinguettii degli uccellini e lo stormire delle foglie, ci siamo messi in cerchio e da un contenitore, abbiamo con mani incerte pescato nel buio, come la guida ci ha detto di fare, un oggetto di plastica raffigurante un animale, da identificare e nominare a voce alta al termine del passaggio in tondo a chi ti stava accanto. Credo che tutti abbiano riconosciuto il proprio, anche le due bambine. L'ambiente meno decifrabile è stato quello della città con i suoi rumori confusi e i numerosi arredi, tuttavia è stato anche divertente. Infine siamo arrivati all'ultima tappa del nostro percorso, il bar ... e lì ci hanno offerto al buio caffè o altre bevande e abbiamo espresso liberamente, senza pregiudizi, le nostre impressioni su questo "viaggio" alla riscoperta dei sensi. Roberto, prima di uscire dall'ultima stanza, ci ha suggerito di restare per qualche istante con gli occhi socchiusi per adattarli alla luce. Abbiamo rivisto i nostri compagni di viaggio e ho avuto l'impressione di averli sentiti meno vicini di quando eravamo immersi nel buio. È stata un'avventura che mi ha lasciato un senso di empatia verso chi è privo della vista, la cui vicinanza può farti sentire tutto un modo nuovo di vivere la realtà che ci circonda.

M.C
Da “L’armonia”, bollettino mensile del Decanato di Asso di Gennaio 2020

 

 

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